lunedì 22 luglio 2013

La scopa del sistema


Buonasera Raccooners!
Qui è Scout che parla.

Scusate la lunga assenza, ma siamo state in vacanza a Corfù [dove il mare è più blu (in realtà non particolarmente, ma è sempre mare greco, quindi va bene lo stesso)].

Oggi mi è tornato in mente un libro che ho letto l’estate scorsa e, in mancanza di argomenti migliori, ho deciso di parlarvene un po’ qui.
Si tratta di La scopa del sistema di David Foster Wallace e mi è tornato in mente perché ero proprio davanti alla sezione W della biblioteca del mio quartiere quando si sono spente tutte le luci e la bibliotecaria mi ha quasi chiusa dentro. Non mi sarebbe dispiaciuto troppo. Voglio dire, forse al buio e senza cibo sì, ma altrimenti…
Torniamo a noi.


Secondo me La scopa del sistema è un libro davvero notevole.
Tanto per cominciare ci sono lo stile di Wallace, la sua particolare cura nella scelta delle parole e il modo in cui costruisce le frasi in modo che siano sempre sorprendenti da leggere. È tutto ironico, dalla prima all’ultima riga, a partire dai nomi dei personaggi fino alle situazioni.
Non è un libro ben delineato con una trama, un inizio, una conclusione e tutto il resto. Più che altro è l’insieme delle avventure della protagonista, la ventenne Lenore Beadsman, e degli altri personaggi che le ruotano attorno.

C’è la sua bisnonna, anch’essa di nome Lenore Beadsman, che è scomparsa misteriosamente dalla sua casa di riposo insieme ad un manipolo di altri pazienti e infermieri.
(Che siano scomparsi nel DIO? Il Deserto Incommensurabile dell’Ohio, un deserto costruito appositamente dal governatore come “un Altro per stimolare l’Io dell’Ohio”?)
C’è il pappagallo Vlad L’Impalatore, che recita sermoni cristiani frammisti a frasi oscene sulla tv via cavo; c’è l’amante di Lenore, Rick Vigorous, un ometto basso e poco dotato che scrive storie terrificanti di cui lui stesso è l’eroe.
C’è il fratello di Lenore, LaVache, anche noto come l’Anticristo, che chiama il suo cellulare Linfonodo e ha una gamba di legno in cui nasconde la marijuana.
C’è Norman Bombardini, un obeso genio informatico che sogna di mangiare fino ad inghiottire il mondo intero (tranne Lenore, di cui è innamorato).
Tutti questi personaggi appaiono inizialmente come macchiette, ma sono poi descritti e delineati in un modo tale che sembra quasi di vederli prendere vita tra le pagine.

Ricordo una scena in cui il direttore della casa di riposo di Nonna Lenore è a pranzo in un ristorante assieme ad una bambola gonfiabile e le parla e cerca di convincere tutti che sia una persona vera, fino a quando questa viene accidentalmente bucata da un cameriere e schizza in aria come un palloncino.
Questo per dire che è un libro assolutamente folle. È  imprevedibile, grottesco, non facile da leggere, filosofico, e al contempo è brillante e divertente. Prendiamo ad esempio Lenore: sono riportate pagine e pagine di dialoghi in cui il suo personaggio consulta uno psicologo perché sente di essere un personaggio fittizio e non una persona reale. Attraverso la penna di Wallace, Lenore si chiede che differenza ci sia tra il raccontare e il vivere visto che in lei non è contenuto niente che non sia raccontato o raccontabile, e si chiede allora perché bisognerebbe scegliere il vivere rispetto al raccontare.
I fookin lov this! (cit. Kelly di Misfits) 


La mia prossima missione sarà leggere Infinite Jest, il secondo e ultimo romanzo compiuto di Wallace (che è morto suicida nel 2008). Il problema è che è un libro di più di mille pagine e già le 553 di La scopa sono state una lettura non proprio leggera… ma se sarà così bello anche quello allora credo che ne varrà la pena.

Peace and love, Raccooners!
Scout

lunedì 1 luglio 2013

Concerto dei Baustelle


Hello Raccooners!
Qui è Scout che parla.

A me gli occhi: adesso dovete fare una cosa.
Chiudetevi in camera da soli al buio, alzate il volume e ascoltate:
Poi ascoltate questo:

Adesso capirete perché, quando ho raccontato a mia nonna che sarei andata ad un concerto dei Baustelle e le ho fatto sentire una canzone a caso (Nessuno, per l’appunto), lei ha sgranato gli occhi e mi ha chiesto se per caso non avessi intenzione di suicidarmi.
Sì, beh, prima di andare al concerto avevo sentito parlare dell’ultimo album dei Baustelle, ma non l’avevo ascoltato… e quando l’ho fatto… beh, ecco, diciamo che mi sono preparata un bagaglio di ricordi felici sufficiente da permettermi di affrontare il concerto come se stessi andando a combattere contro un Dissennatore.


E invece no, invece mi è piaciuto. Yeyy!
Aspettate: alcune canzoni hanno davvero la tendenza a suscitare l’irrefrenabile desiderio di morire subito di una morte molto violenta. Oppure scappare urlando.
Tipo la prima canzone della scaletta, Fantasma, che evoca tetre immagini di bambini spettrali che corrono cantando per i corridoi di un orfanatrofio abbandonato. E tu senti le loro voci e li segui e all’improvviso ti ritrovi sperduto tra quelle mura che si dissolvono come le pareti di Silent Hill e le voci aumentano e tu trovi il bambino e lo giri e… e… OH MIO DIO LA SUA FACCIA! E scopri che è un mostro terribile e putrefatto.
Ho reso l’idea?

           
Devo dire che però, canzoni deprimenti o meno, c’era sempre un sacco di atmosfera.
Potevi distogliere un attimo lo sguardo dalla folta criniera di Bianconi, guardare le espressioni della gente attorno a te (sentire i fan più accaniti recitare a memoria ogni. singola. parola. delle canzoni) e provare quei sentimenti di comunione e comunità che si sentono nei confronti di perfetti estranei in momenti del genere.
Questa è una delle ragioni principali per cui mi piace andare ai concerti.
Certo, se la musica è bella e ne conosco il testo anch’io tanto meglio, ma anche quando la mia conoscenza della scaletta si limita al ritornello di un paio di canzoni l’atmosfera è sempre magggica.
Fa molto “carpe diem”, secondo me: sei lì, in quel momento, con i tuoi amici e con un sacco di amichevoli sconosciuti come te.
La finisco qui prima di diventare troppo sentimentale.

E ricordate: io non voglio crescere, andate a farvi foooottereeee!

Peace and love
Scout