qui Scout che parla.
Ecco cosa è nato da questo mese di vacanza al mare:
Il Dottor
Pullman e la falange dello Zio Danny
Le
sette di sera sono un momento perfetto in agosto. Sono il momento nel quale
siedi accanto a una finestra, con i piedi appoggiati al davanzale, una
sigaretta tra le labbra e un bicchiere pieno per un quarto di vodka con il
ghiaccio e guardi il sole tramontare con nessun’altra preoccupazione che
riuscire a riempirti gli occhi al massimo della tua portata della luce rossa,
calda e pulsante del giorno che scivola via.
Nessuno
poteva disturbare Julian alle sette di sera, qualsiasi cosa stesse facendo. Che
stesse guardando il sole da una finestra, dal tetto di casa sua, dal muretto
che delimitava la fine della spiaggia o dal lettino del Dr. Pullman. Lettino
sul quale in quel momento Julian era profondamente addormentato.
L’orologio
segnava le sette e trentaquattro e mancavano ventisei minuti alla fine della
seduta. Il Dottor Pullman si schiarì la voce e cambiò posizione sulla poltrona.
«Julian?»
Julian
si svegliò con un sobbalzo, sbadigliò e si strofinò una mano sulla fronte.
«Ha
interrotto un sogno bellissimo» borbottò. «Forse se mi riaddormento subito
riesco a tornarci dentro.»
Si
girò su un fianco e infilò la testa nell’incavo del braccio sollevato.
Il
Dottor Pullman gli picchettò gentilmente sul gomito con la penna Ideal
Waterman.
«Lo
sai che tuo padre mi paga per queste sedute, vero? E non sono, diciamo, a buon
mercato.»
«No,
pensavo che mi lasciasse venire qui gratis.»
La
sua voce giungeva soffocata da sotto alla manica della camicia contro cui aveva
nascosto il volto.
«Lui
lo sa che tu non fai che dormire ogni volta che ci vediamo?»
Julian
rotolò di nuovo sulla schiena e fissò il soffitto con lo sguardo un po’ vitreo
di quando si è molto assonnati.
«Perché
dovrebbe. Lei è tenuto a rispettare il segreto professionale, dico bene?»
Il
Dottor Pullman tornò ad appoggiarsi allo schienale imbottito della sua
poltrona. Lanciava brevi occhiate di disapprovazione ai piedi scalzi di Julian
abbandonati verso il fondo del lettino, in particolare alle piante nere dei suoi
calzini bianchi da tennis.
«Sì,
naturalmente. Io non posso dirglielo. Ma non credi che sia una perdita di tempo
e di denaro da parte di entrambi?»
«La
cosa non mi dà molto fastidio.»
«Perché
non dormi nel tuo letto nella tua stanza invece di farti accompagnare qui e
russare per un’ora nel mio studio?»
«Qui
c’è l’aria condizionata.»
«Julian.»
«Dico
sul serio! E poi non riesco a dormire a casa mia, non con tutti che urlano.»
Il
sole aveva raggiunto quella particolare posizione nel cielo per cui proiettava
l’ombra dei rami del faggio appena fuori dalla finestra dello studio sul
soffitto, neri e spelacchiati sullo sfondo dell’intonaco tinto di arancione dal
tramonto. Il vento faceva muovere le foglie in ondate ritmiche simili ad una
risacca che Julian poteva osservare dalla sua posizione supina con gli occhi
fissi sul soffitto.
Il
Dottor Pullman annotò qualcosa sul suo quaderno.
«Cosa
vuole che faccia?» chiese Julian dopo un po’.
«Puoi
iniziare col raccontarmi che cosa stavi sognando.»
Julian
scacciò il pensiero con un gesto della mano.
«Mi
faccia il favore. Così può dirmi cosa? Che secondo Freud sono sessualmente
costipato e provo un fortissimo complesso di Edipo nei confronti del padre del
fratello del mio idraulico di fiducia?»
La
Ideal Waterman del Dottor Pullman aggiunse qualcosa verso la metà della pagina
di sinistra del quaderno. Julian si sforzò di non guardarla, concentrandosi
invece nel sincronizzare il suo respiro con le ondate di foglie nere e
arancioni che invadevano il suo campo visivo.
«Puoi
raccontarmi qualcos’altro allora» disse il Dottor Pullman con tono
accondiscendente.
Julian
si sistemò meglio sul lettino.
«Un
po’ di conversazione con l’ultimo paziente della giornata? Così può tornare a
casa e fermarsi in un bar a farsi un goccetto e masticare noccioline con la
sensazione di aver fatto del bene nel mondo.»
Il
Dottor Pullman non rispose: era abituato a frasi del genere, non si sarebbe
lasciato toccare da nulla che il ragazzo avesse detto. Julian gli lanciò
un’occhiata e si infilò un altro cuscino dietro alla schiena, in modo da
tornare in una posizione quasi seduta.
«Oppure
mi faccia immaginare cos’ha segnato su quel suo quadernino con la copertina in
pelle da diario di un avventuriero nella giungla. Mi faccia indovinare. Ha
segnato la frase che ho detto prima, quella su tutti che urlano in casa mia, e
ora non vede l’ora di chiedermi della mia famiglia.»
Il
Dottor Pullman rimase impassibile. Julian continuò.
«E
allora dovremmo parlare della mia famiglia, ma se mi ci metto a parlare io
così, spontaneamente, avrà vinto lei, sarà il più grande cazzo di psicologo
della città se mi metto a parlare della mia famiglia!»
Un
ciuffo di capelli gli era scivolato sugli occhi nella foga del parlare e lui se
lo risistemò con una mano che non tremava affatto.
«Non
è questione di vincere, Julian» disse Pullman.
«Allora
direi che potremmo anche parlare di sport.»
«Vuoi
parlare di sport?»
«Sì,
perché no.»
«Parlami
della tua famiglia, Julian.»
Julian
sospirò e inclinò la testa per tornare a guardare le foglie. Un vento più forte
del solito le stava sbatacchiando ad un ritmo che gli riusciva difficile
continuare a seguire col respiro senza cominciare ad entrare in
iperventilazione.
«Potremmo
parlare di entrambe le cose» suggerì il Dottor Pullman. «Non siete per caso
andati in crociera in barca a vela due settimane fa?»
«Gliel’ha
detto mio padre questo?» chiese Julian. «Credevo che non parlaste.»
«Non
parliamo di te.»
«Parlavate
anche di me, anch’io ero su quella barca due settimane fa.»
«Non
parliamo di quello che mi dici qui. Nulla mi vieta di parlare della tua semplice
esistenza con tuo padre» ribatté Pullman.
Julian
fece una smorfia come a indicare che capiva il concetto e lo condivideva.
«Vuole
davvero che parliamo della crociera?» chiese.
Pullman
annuì ed esibì una specie di sottile sorriso professionale d’incitazione.
«Da
dove vuole che cominci, dai dettagli? Tipo chi eravamo e a che ora del giorno
siamo partiti?»
«Da
dove preferisci» rispose Pullman.
Julian
annuì. «Naturalmente, da dove preferisco. Allora siamo partiti alle sette e
mezza del mattino. Ed eravamo io, Ted…»
«Cioè
tuo padre.»
«Sì,
mio padre. Ted. Io, Ted, Iggy, Cherie, Elliot, lo zio Danny e zia Jo.»
Il
Dottor Pullman aggrottò le sopracciglia.
«Tuo
padre non mi aveva parlato anche di Cherie.»
«Non
avrebbe dovuto esserci» spiegò Julian con voce stanca. «Doveva essere ad Austin
per lavoro, ma quei due non riescono a stare lontani per più di un secondo,
così ci ha raggiunti. Ted sarebbe stato assolutamente intrattabile se non ci
fosse stata lei.»
Pullman
annuì e annotò i nomi sul suo quadernino.
«La
prossima volta se vuole le porterò il filmino delle vacanze così si sentirà più
immerso nella nostra vita privata» borbottò Julian distogliendo di nuovo lo
sguardo.
«Non
c’è bisogno di essere acidi.»
«E
chi è acido. Vuole sapere cosa c’è sul filmino? È una scena davvero memorabile,
è stata una vera fortuna che Elliot stesse filmando proprio in quel momento. Lo
vuole sapere?»
«Lo
voglio sapere.»
Julian
si tolse i capelli dalla fronte e si sporse sul lettino verso la poltrona del
Dottor Pullman, in modo da fissarlo bene negli occhi, che egli teneva nascosti
dietro ad uno spesso paio di occhiali con la montatura di corno. L’orologio
alle sue spalle segnava le sette e quarantadue. Accanto all’orologio Pullman
aveva appeso la stampa di un paesaggio balneare che sperava avesse un effetto
rilassante e tranquillizzante sui pazienti che se la trovavano davanti agli
occhi dalla loro posizione sul lettino.
«C’è
la scena ripresa fotogramma per fotogramma di mio zio Danny che si taglia via
la falange superiore dell’anulare sinistro con un coltellaccio da pesca
subacquea, ecco cosa c’è. La falange di zio Danny che schizza via sulla tuga e
cade in mare come la testa di un’anguilla decapitata quando la barca sobbalza
sulle onde sollevate da uno yacht con la bandiera del Portogallo. E Elliot l’ha
filmato.»
Il
Dottor Pullman deglutì. Abbassò lo sguardo sulla sua Ideal Waterman e sul
quadernino e cercò di formulare una frase professionale a riguardo di una falange
mozzata da un coltellaccio da pesca, ma alla fine desistette e tornò a guardare
Julian.
Julian
sorrise, soddisfatto.
«Ted
non me l’aveva detto» disse Pullman.
«Lo
credo bene, non fa certo una buona fama, dico bene? Raccontare in giro che tuo
fratello si è staccato un dito sulla tua barca.»
Il
Dottor Pullman si accigliò.
«E
avete incluso la scena nel filmino delle vacanze?»
Julian
scrollò le spalle.
«È
Elliot il regista. Abbiamo censurato il sangue. L’abbiamo tinto di verde. Iggy
ha detto che Cherie avrebbe vomitato di nuovo se non l’avessimo fatto.»
Il
Dottor Pullman si ricompose e annotò un paio di frasi sul quaderno, riflettendo
attentamente su ogni parola.
«Va’
avanti» disse poi. «Com’è successo?»
Julian
tornò a posare la schiena sui cuscini, si strofinò il lato del naso e sollevò
gli occhi verso il soffitto arancione, cercando di ricordare il maggior numero
di dettagli possibile.
«Danny
aveva raccolto dei piedi di capra sugli scogli vicino alla riva e voleva
mangiarli prima di pranzo» fece una smorfia. «È illegale, lo so, ma cosa ci
vuole fare? Chi non ha mai pescato un piede di capra nella sua vita? Insomma
stava cercando di aprire i piedi di capra con il coltello quando questo yacht
ci è passato accanto e ha sollevato quel tipo di onda che ti fa rovesciare
addosso mezza bottiglia di acqua minerale se ti capita di star bevendo mentre
ci passi sopra. Ha presente?»
Il
Dottor Pullman annuì. Il vago ricordo di una gita in pedalò nei tempi della
gioventù gli attraversò la mente, ma fu subito scacciato. Julian sorrise, gli
occhi persi nel vuoto dei ricordi, e riprese a raccontare con una smorfia
divertita stampata sul volto.
«E
Danny stava premendo col coltello sul piede di capra proprio in quel momento,
capisce? E il coltello è schizzato in giù, velocissimo, oltre il piede di capra
chiuso e gli ha tranciato via un pezzo di dito in una frazione di secondo. Non
si è neanche fermato sull’osso, niente.»
«Ricordo
di aver incontrato tuo zio Danny l’anno scorso a casa di tuo padre» borbottò
Pullman, con gli occhiali che gli scivolavano in basso sul naso sudato. «Se ha
conservato la stessa massa muscolare che aveva allora non stento a crederlo.
Deve aver impresso su quel coltello una forza spaventosa.»
Julian
annuì con gli occhi spalancati e puntò un dito verso Pullman.
«Esatto,
dice bene. E in quel momento era quasi pranzo e Ted e Cherie erano giù sotto
coperta a preparare da mangiare. Zia Jo era ancora in acqua e Iggy e io stavamo
parlando di non ricordo cosa in pozzetto e all’improvviso sentiamo quest’urlo
incredibile e vediamo zio Danny che scatta indietro tenendosi la mano tipo
Frodo Baggins quando Gollum gli strappa via l’anello a morsi. E zia Jo era
ancora in acqua accanto alla barca, capisce? Immerge la testa per passare sotto
all’onda e quando riemerge vede il dito di Danny che affonda accanto a lei e
una nuvola rossa di sangue che la avvolge e zio Danny si sporge oltre le
draglie e urla “PRENDILO! NON LASCIALO SCAPPARE!” come se il dito fosse un
pesce che gli è sfuggito di mano e si sta riguadagnando la libertà verso il
fondo.»
Julian
si interruppe, ansimante, e tirò un respiro profondo. Il Dottor Pullman lo
fissava, completamente rapito dal racconto. L’orologio sopra di loro segnava le
sette e quarantanove.
«Insomma
anche zia Jo si è messa a urlare, naturalmente» riprese Julian. «E ha
cominciato a nuotare più veloce che poteva verso la scaletta, cercando al
contempo di restare a galla fuori dal sangue, quindi tutto quello che faceva
era rimanere immobile sbattendo le mani sull’acqua e sollevando schizzi rossi
dappertutto. Intanto Ted e Cherie erano riemersi da sotto coperta, lui con un
mestolo in mano, lei con la terrina dell’insalata di cipolle. Ted ha visto
subito la mano di mio zio, i piedi di capra e il coltello e ha capito che
cos’era successo, così ha puntato il mestolo verso Iggy e ha urlato “PRENDI IL
RETINO!” e mia sorella, pietrificata, “NON LO PRENDEREMO COL RETINO, CADRA’ IN
UNO DEI BUCHI!” e Danny “STA AFFONDANDO, PRESTO!”»
Julian
si tolse i capelli dalla fronte con un gesto scocciato, mentre con l’altra mano
si teneva la pancia e cercava di riprendere fiato tra gli scoppi di risa.
Davanti a lui, il Dottor Pullman aggrottò le sopracciglia.
«Scusami,
ma non capisco. Davvero è stato così divertente?»
Julian
lo fissò e scrollò le spalle.
«Il
dito gliel’hanno ricucito in ospedale, è solo un po’ più rigido e rugoso del
solito. Tutto è bene quel che finisce bene, giusto? E comunque era solo una
falange e visto così a posteriori è stato assolutamente fantastico.»
Pullman
scosse la testa con aria di disapprovazione.
«Senta,
l’ha voluta sentire lei questa storia, no? Se si ritiene di stomaco troppo
delicato posso anche tornarmene a dormire.»
«Figurati,
va’ pure avanti. Solo risparmiami la visione del filmino.»
Julian
rise di nuovo.
«Dunque,
dov’eravamo? Ah sì, e Cherie ha vomitato. Nella terrina dell’insalata di
cipolle. Poco male: la odiavamo tutti quell’insalata, perfino Ted, anche se non
ha il coraggio di dirglielo.»
«E
tu ed Evan in tutto questo che cosa facevate, guardavate?»
«La
smetta di chiamarla Evan, lo sa che lo detesta. Io e Iggy guardavamo, certo. E
poi io ho preso il retino e Iggy si è alzata ed è corsa a lanciare un
salvagente a zia Jo, perché, sa, non si può andare avanti tanto tempo sbattendo
le mani sull’acqua e strillando a quel modo senza annegare. Così siamo riusciti
a tirare zia Jo sulla barca e a portarla giù nella doccia, dove si è fatta
quattro shampi con relativi bagnischiuma prima ancora di preoccuparsi dello
stato del dito di suo marito. Dito che nel frattempo io avevo ripescato con il
retino, che aveva i buchi appena troppo piccoli perché la falange ci scivolasse
dentro. Ted ha legato l’elastico di un paio di boxer attorno alla mano di zio
Danny per fermare l’emorragia e gli ha ficcato il dito in una busta di piselli
surgelati. Per preservarlo, sa? Così avrebbero potuto riattaccarglielo. Ed
Elliot ha filmato tutto, da cima a fondo.»
«Tuo
padre dev’essere stato entusiasta.»
«Altroché.
C’era tanto sangue sulla tuga che sembrava che avessimo sgozzato un pescecane.
Tutti ci guardavano col binocolo dalle altre barche e credo che qualcuno abbia
anche chiamato la guardia costiera. Per schiamazzi, sa. Sono molto rigidi con
questo tipo di cose; in caso le accada di andare per mare le conviene essere il
più silenzioso possibile anche se sta annegando divorato dai piraña. Lo dico per lei. Il nostro tempo è
finito?»
«Mancano quattro minuti» disse Pullman,
scribacchiando furiosamente sul suo quaderno.
«Adesso capisce perché non posso dormire a casa?»
«Credo di essermene fatto un’idea.»
«Cose del genere accadono in continuazione.»
«Abbiamo fatto passi da gigante oggi, Julian»
annunciò il Dottor Pullman.
Julian sollevò appena lo sguardo. «Ah sì?»
«Abbiamo cominciato a parlare delle dinamiche della
tua famiglia. Se non altro è meglio che dormire, non trovi?»
«Già.»
«Non credi che comunque la vacanza con tua sorella e
la famiglia di tuo padre vi abbia riuniti e rappacificati un po’, incidenti a
parte?» chiese Pullman.
«Forse, non lo so.»
L’orologio segnava le sette e cinquantanove. Julian
era tornato a distendersi sul lettino con il cuscino dietro alla testa e
guardava le foglie muoversi sul soffitto, che da arancione era passato ad una
scura sfumatura di marrone.
«Non ricordo più che cosa stavo sognando prima»
mormorò sovrappensiero.
«Ti passa a prendere tuo padre?»
Julian si riscosse e si alzò dal lettino. Aveva le
gambe anchilosate, la camicia spiegazzata e i capelli appiccicati sulla nuca.
«No, torno da solo. Faccio una passeggiata. È sempre
un piacere vederla, Pullman.»
Il Dottor Pullman ripose penna e quaderno e
accompagnò il ragazzo alla porta. Era un uomo alto e dinoccolato, sulla
sessantina, con i capelli striati di grigio topo e gli occhi sempre un po’
troppo lucidi.
«Tornerai qui giovedì?» chiese.
«Ci può contare. Può andare a bersi il suo drink
adesso, non lo dirò a papà.»
Pullman fece di nuovo quel suo sorriso
accondiscendente e professionale e appoggiò la schiena allo stipite della
porta, guardando Julian scendere le scale, la borsa a tracolla sui vestiti
insolitamente eleganti e i capelli lucidi pettinati all’indietro.
Julian uscì dal palazzo, svoltò a sinistra e
cominciò a camminare senza guardarsi attorno dando le spalle al tramonto, con
le mani infilate in tasca, gli occhiali da sole e una sigaretta stretta tra le
labbra, fischiettando un motivetto che aveva avuto in testa per tutta la
seduta.
Ecco cosa generano pomeriggi caldi e nulla da fare :)
Peace and love
Scout
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